Satiri e Sileni


Satiri e Sileni (Σάτυροι, Σιληνοί) sono figure mitologiche fra le più diffuse nella letteratura, nell'arte, nelle credenze popolari della Grecia antica; ne conosciamo bene la natura, l'aspetto, i modi di rappresentazione dalla metà del sec. V a. C. in poi; più incerti e discussi ne rimangono invece per noi l'origine e i più antichi stadi di sviluppo. Certo è che, primitivamente, i satiri furono figure divine a sé stanti, dovendo riguardarsi il loro collegamento con Dioniso come un fenomeno del tutto tardo e secondario, che trasformò anche la loro natura e la loro figura. Questa, prima, sembra, fu quella stessa dei sileni. Nell'età ellenistica e romana, si designano col nome di satiri dei geni teriomorfi, partecipanti della natura caprina e aventi perciò corpo e membra umane, ma orecchie (e spesso anche corna) e coda caprine, orecchie cioè lunghe e appuntite, capelli arruffati, naso rincagnato.

Si vedeva nei satiri la personificazione della vita della natura, così come nelle ninfe, delle quali si consideravano i corrispondenti maschili, viventi anch'essi nelle solitudini dei monti o dei boschi, cacciando, danzando e sonando la zampogna, il flauto o le nacchere. Erano riguardati come demoni sensuali e maliziosi, più spesso ostili che amici agli uomini, cui si credeva facessero spesso del male, assalendone gli armenti, spaventando e perseguitando le donne.

Insieme con le ninfe stesse e con le baccanti si associavano al corteo (o tiaso) di Dioniso. Incerta è l'etimologia del loro nome, che nei dialetti dorici compariva nella forma τίτυροι. Esiodo li dice discendenti dall'argolico Foroneo, del pari che le ninfe e i cureti. Altri mitografi li dissero figli di Ermete e della ninfa Iftime; si parlò di "isole dei Satiri", dove ai viaggiatori accadeva spesso di incontrarli. Come seguaci di Dioniso, essi diedero occasione alla creazione di quel genere drammatico noto sotto il nome di "dramma satiresco".

I sileni sono anch'essi, dall'età di Pericle in poi, geni teriomorfi, di natura però equina, con le orecchie e la coda di cavallo e spesso anche il caratteristico zoccolo degli equini. Piuttosto che dei monti e dei boschi, i sileni venivano riguardati come genî dell'acqua corrente che irriga e feconda, amanti d' intrattenersi nelle umide praterie, spesso in compagnia delle ninfe, con le quali solevano congiungersi nella fresca ombra delle caverne. Ma l'antica mitologia distingueva, nella moltitudine dei sileni, il Sileno per eccellenza, un vecchio bonario, che si diceva padre dei satiri e balio di Dioniso, che, ancor fanciullino, gli era stato affidato dalle ninfe perché l'educasse.


Di questo Sileno si raccontò che fosse figlio di una ninfa e di Pan e re di Nisa: ricevuto in custodia il fanciullo Dioniso, aveva accompagnato il suo allievo nell'Attica, ivi soggiornando qualche tempo con lui, ospite di Pandione, sull'Acropoli. Di Sileno si faceva non solo un demone amico agli uomini, genio tutelare della casa, protettore dei fanciulli, ma anche il sapiente e il maestro per eccellenza fra gli dei, del quale erano note la saggezza e la virtù profetica. Difficile però riusciva ottenere le sue profezie, ch'egli dava solo se posto in stato di ebbrezza.


Anche i sileni si trovavano collegati col dio del vino e col suo tiaso: stanno intorno a Dioniso, lo accompagnano, lo servono, e a poco a poco divengono i capi del comos, partecipano all'orgiasmo, soggiacciono all'estasi bacchica.



Giulio Giannelli-Goffredo Bendinelli, Enciclopedia Italiana (1936)